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Le finiture colorate

Ora, dopo aver parlato di muri e di intonaci, affrontiamo il delicato argomento delle finiture colorate.
Le prime finiture erano costituite da scialbi di grassello, polveri di marmo o altri inerti, e pigmenti quali le terre naturali.
Il massimo della raffinatezza per le finiture venne raggiunto nel Rinascimento, fu una gara fra le varie città importanti, in Italia ma anche nel resto dell'Europa, a chi faceva più belle ed artistiche le facciate.
Si intrecciavano superfici in pietra ed in marmo con superfici intonacate colorate sia ad imitazione dei marmi, ma anche con colori propri.
A Venezia, dato il clima particolarmente aggressivo, trovò molto impiego il Marmorino, intonaco composto appunto da frammenti di marmo provenienti dalla bocciardatura dei marmi della facciata adiacente e grassello, lavorata, compressa e levigata fino ad assumere l'aspetto della Pietra d' Istria o del Marmo Greco, i marmi più presenti nelle facciate veneziane.
Ma i veneziani non si accontentavano dei finti marmi, così presero a rivestire le facciate con la foglia d'oro, in segno di opulenza e magnificenza. Si racconta che verso la fine del '500 non fosse solo la famosa Cà D'oro ad essere rivestita in oro, ma la maggior parte delle facciate che si specchiavano nel Canal Grande.
Gli stessi veneziani avevano scoperto le eccezionali doti di elasticità dell'intonaco grezzo costituito da grassello e cocciopesto - infatti è l'intonaco a più basso modulo elastico che esista - e lo utilizzavano come sottofondo, in tutte le facciate o quasi, al Marmorino. Se andate a Venezia notatelo, è così in molti palazzi antichi.
Il Marmorino invece ha dimostrato, di gran lunga, di essere il rivestimento esterno più resistente nella storia di tutti i tempi. La particolare lavorazione e la superficie resa quasi impermeabile alle intemperie, ha permesso ad intonaci di marmorino veneziano di resistere anche centinaia di anni.
Ma la stessa superficie la ritroviamo per esempio anche nella curia di Frascati, ex castello - in questo caso il Marmorino si chiama Stucco Romano – e anche nel castello di Corigliano Calabro - qui hanno agito sicuramente le influenze delle tradizioni greche.
A Roma il Rinascimento ha portato ad avere palazzi dalle facciate incredibilmente belle e maestose; si giocava con i finti marmi, le finte cortine murarie gli inganni visivi ottenute dalle "brodature" fatte con le Terre coloranti e, perché no, anche con i marmi veri, provenienti dalle cave limitrofe alla città e, purtroppo anche dagli antichi e magnificenti monumenti romani dell'antichità.
Il Colosseo fu considerato alla stregua di una cava e fu sistematicamente demolito. La famiglia dei nobili Barberini fu particolarmente attiva nello smontare queste vestigia del passato, vedi il famoso detto romano "ciò che non fecero i barbari lo fecero i Barberini".
Gli imbianchini del Rinascimento furono figure importantissime nell'eseguire le opere di rifinitura, in perfetta sintonia con gli architetti, erano dei veri e propri maestri d'arte.
I colori degli sfondati, in abbinamento ai particolari architettonici dei rilievi, creavano movimenti di dimensioni e profondità.
Verso la fine del '700 e primi '800 si videro anche colori tenui, ispirantesi al cielo ed all'acqua, definiti appunto "colori d'aria e di acqua", nati per "alleggerire" le moli dei palazzi, applicati spesso alle superfetazioni degli ultimi piani, che si perdevano così e confondevano con il cielo stesso, in un vibrare armonico delle superfici.
Vi fu anche un periodo, con l'avvento dell'Illuminismo, in cui si decorticarono molte facciate, per mettere a nudo la struttura muraria ed esporre così la sua mole, la sua "vera natura", ma questa brutta abitudine non apparteneva all'esperienza storica, salvo rarissimi casi.
Così alcuni, oggi, sono convinti che la faccia a vista sia sempre esistita e che certi palazzi siano sempre stati così "nudi".
LA NATURA DIVERSA DELLE FINITURE
Prima distinzione tra tipi di finiture: l'adesione al supporto
La prima distinzione che è fondamentale evidenziare, è la differenza nel tipo di adesione al supporto.

Le finiture minerali, che sono rappresentate dalle finiture di calce aerea e da quelle ai silicati liquidi di potassio, aderiscono chimicamente alla superficie su cui vengono applicate.
Per questo motivo dobbiamo fare particolare attenzione al tipo di intonaco che vogliamo ricoprire con la finitura minerale. Ricordiamo che sia le finiture in calce sia quelle ai silicati utilizzano, per reagire, il carbonato di calcio presente nel supporto, oltre all'anidride carbonica presente nell'aria. Un intonaco molto cementizio non garantirà quindi un'adesione ottimale della finitura, in quanto contiene poco carbonato da calcio, a differenza degli intonaci naturali in calce.
Altro problema che si crea con le finiture minerali è un risultato estetico mediocre o scarso nel caso di applicazioni su intonaci rappezzati con materiale eterogeneo rispetto all'originale. Facile ottenere, in questi casi, facciate macchiate, a" pelle di leopardo".
Per evitare questi difetti dobbiamo preparare la superficie rappezzata utilizzando fondi intermedi, preparati apposta per risolvere o, quantomeno, attenuare il problema. Si possono utilizzare rasanti di calce, utili quando è richiesto un po' di spessore o quando sia necessario inserire una rete d'armatura in fibra di vetro, oppure il Fondo riempitivo a calce o ai silicati di potassio, comodo perché applicabile sia a rullo che a pennello.
Le finiture sintetiche aderiscono invece al supporto con un'adesione di tipo fisico.
In pratica, quando applichiamo un prodotto sintetico sopra ad un supporto, creiamo un film che si "incolla" alla superficie grazie alla resina, la colla, contenuta nel prodotto.
Le più comuni resine, contenute nel 99%, dei prodotti sintetici, formulati per superfici murarie oggi esistenti sul mercato, sono di tipo vinilico (colla utilizzata prevalentemente nelle finiture per interni), acrilico (colla usata nella maggioranza dei prodotti per esterni) e, ultima arrivata ai primi degli anni '90, la resina acrilsilossanica.

Queste finiture, non interagendo chimicamente con il supporto, non "leggono" le differenze di materiale presenti sulla stessa parete. È importante, comunque, lavorare su di un supporto ben consistente e non troppo assorbente.
Indispensabile prevedere allora, nella quasi totalità dei casi, un trattamento del supporto con un fissativo consolidante e/o isolante.
Un caso particolare, che merita menzione a parte, è rappresentato dalle finiture acrilsilossaniche che contengono una componente che interagisce chimicamente con il supporto (resina silossanica) ed una che aderisce per principio fisico (resina acrilica). Questa sinergia tra tecnologie permette di rivestire il supporto con un film dallo spessore omogeneo, anche di fronte alle piccole scabrosità, a differenza delle normali pitture sintetiche.
Seconda distinzione: lo spessore
Notiamo che il termine "Tinta" è affidato al prodotto minerale che, per definizione e normativa UNI, applicato su un foglio di plastica, si distacca in caso di piegatura del supporto.
La "Pittura" è invece quel materiale che, applicato sullo stesso supporto, resta attaccato in caso di piegatura.

Terza distinzione: la composizione
Confrontiamo, con semplici schemi, il contenuto dei componenti di ogni tipologia di prodotto.

Le finiture in calce
Allora, vediamo come è composta una finitura minerale a calce, diciamo la finitura storica per eccellenza, non ha importanza che sia a spessore come un intonachino, o che sia senza corpo come una Tinta al latte di calce.

Il legante è la calce aerea, secondo la formulazione può essere utilizzato grassello o calce idrata che viene bagnata poche ore o pochi giorni prima dell'utilizzo.
Le cariche sono introdotte per dare corpo al prodotto. Possono essere polveri impalpabili o sabbia di marmo e/o silicee, utilizzati nei prodotti a spessore.
Il bianco è fondamentale come base per la preparazione delle tinte. Nel caso dei prodotti a calce, il bianco è dato dallo stesso legante. Ricordiamo che il bianco della calce è un bianco che ha una sua "trasparenza". L'applicatore deve infatti porre attenzione alla stesura del materiale, in quanto la parziale copertura del colore in calce potrebbe far notare esteticamente i segni dell'attrezzo applicativo.
Sfruttando questa trasparenza, nel ciclo di tinteggio con tinta al latte di calce, dobbiamo applicare sempre la prima mano color bianco.
Il colore finale godrà di maggior luminosità e vibrazione. Importante è anche l'applicazione con il pennello, che permette spessori minori rispetto al rullo, strumento moderno non troppo adatto alla Tinta al latte di calce.

I pigmenti, cioè i coloranti, possono essere sia ossidi sia terre naturali. Gli ossidi, oggi, sono tutti, o quasi, di natura sintetica e devono possedere caratteristiche di alta qualità perché, oltre a resistere ai raggi U.V. presenti all'esterno, devono resistere anche alla forte aggressione alcalina della calce (mediamente pH 10 – 11). Devono essere quindi ossidi classificati in classe 5 o 6, le migliori. Chi non ha visto una facciata rossa a calce diventare rosa dopo pochi mesi?
Le terre coloranti naturali, che descriveremo ampiamente in seguito, sono di per sé molto stabili chimicamente, perché sono ossidi che hanno già subito tutte le trasformazioni, chimiche e fisiche, restando sottoterra per migliaia/milioni di anni. Il prodotto colorato con le terre naturali avrà quindi una maggior tenuta del colore nel tempo.
Gli additivi che troviamo nei prodotti a calce in commercio possono essere sia di natura sintetica sia naturale. Ricordiamo che, spessissimo, nella storia, le calci venivano modificate con additivi di natura organica, vedi olio di lino, latte, caseina, uova, aceto, urina, ecc. Il motivo era ed è ancora questo: migliorare la lavorabilità del prodotto nel momento dell'applicazione e conferire un minimo di idrorepellenza al manufatto in calce, di per sé non idrorepellente.
Oggi si utilizzano resine sintetiche, acriliche o viniliche, additivi naturali come latte e/o caseina ed olio di lino cotto e, quasi sempre, metilcellulosa che, essendo un ritentore d'acqua, aiuta il prodotto a calce a inglobare anidride carbonica nella fase di presa, trasformandola in acido carbonico. L'additivazione con resina sintetiche varia, solitamente, tra l'1 e l'8%, dipende dal tipo di prodotto. Ricordiamo la circolare dell'I.C.R. (Istituto Centrale del Restauro, oggi I.S.C.R.) rivolta alle Soprintendenze, emanata ancora negli anni '70, che riportava le indicazioni dei coniugi Mora, allora famosi tecnici ricercatori dell'Istituto, risultate dalle esperienze di formulazioni contenenti grassello di calce, resina acrilica (il Primal AC 33, oggi sostituito dalla casa madre con un'acrilica non tossica e meno pellicolante, denominata genericamente Primal) e latte scremato.

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