Biennale di Architettura di Venezia - Vaticano parteciperà all'esposizione
La Santa Sede per la prima volta alla Biennale di Architettura di Venezia
Dal 26 maggio al 25 novembre 2018, il Vaticano presente alla esposizione con un padiglione sull’Isola di San Giorgio
Un padiglione diffuso, che si svilupperà nella suggestiva cornice del Bosco dell’Isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia: la Santa Sede parteciperà così alla 16° Mostra Internazionale di Architettura della Biennale, dal 26 maggio al 25 novembre 2018. Una esperienza che segue quelle del 2013 e del 2015 all’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.
Modello del progetto - promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi, coordinato dal Pontificio Consiglio della Cultura e curato dal professor Francesco Dal Co - è la “cappella nel bosco”, costruita nel 1920 da Gunnar Asplund nel cimitero di Stoccolma. Dieci architetti di comprovata esperienza e diversa formazione, sono stati dunque invitati a proporre e realizzare ciascuno una cappella, indagando le possibilità offerte dai differenti materiali.
Particolare attenzione, nella progettazione e realizzazione delle strutture, sarà data anche alla possibilità di riutilizzare le cappelle dopo l’esposizione, nella tutela e nel rispetto dello spazio naturale circostante.
Gli architetti provengono da Italia, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Usa, Australia, Brasile, Giappone, Cile/Serbia e Paraguay. Sono stati chiamati a confrontarsi con un tipo edilizio che non ha modelli ne precedenti. Nella nostra cultura, infatti, è usuale identificare la cappella come ambiente parte di spazi religiosi e ambienti di culto più ampi, come chiese e cattedrali; nel Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Architettura 2018, invece, le cappelle saranno isolate, collocate in un ambiente naturale e astratto, metafora del peregrinare della vita: il bosco, appunto.
Tra le iniziative promosse dal Pontificio Consiglio della Cultura nell’ambito della partecipazione della Santa Sede alla Biennale, anche un evento organizzato dal “Cortile dei Gentili” e previsto per il prossimo 21 settembre, durante il quale quattro architetti di fama internazionale si confronteranno tra loro e con il pubblico; un’ulteriore occasione, questa, per mostrare quanto possa essere fecondo il dialogo tra architettura e spiritualità e indagare come viene interpretato il messaggio contenuto nella enciclica Laudato si' di Papa Francesco.
La presentazione ufficiale dell’intero progetto della Santa Sede e degli architetti partecipanti avrà luogo ad aprile 2018, presso la Sala Stampa vaticana.
finte: lastampa.it
Batteri 'restauratori' per le fontane e le statue dei Giardini Vaticani
Restaurare le opere d’arte, con risultati talvolta migliori, utilizzando batteri e sostanze naturali invece di prodotti chimici potenzialmente più rischiosi per la salute. Si chiama “biorestauro” ed è una tecnologia tutta italiana, perfezionata dall’ENEA, che presto potrà essere utilizzata anche per le fontane e le statue dei giardini della Città del Vaticano.
Questo metodo di pulitura bio-based prevede l’uso di microrganismi capaci di rimuovere depositi di varia natura, con indubbi vantaggi in termini di selettività dell’intervento, sicurezza per l’opera d’arte, non tossicità per i restauratori, basso costo e ridotto impatto ambientale.
Dell’applicazione al restauro di biotecnologie già usate per il disinquinamento del suolo si è parlato in questi giorni nel workshop “Tecnologie e prodotti BIO-based per strategie sostenibili di conservazione dei Beni Culturali e di risanamento dei suoli”, organizzato dall’ENEA con la partecipazione di esponenti del mondo dei beni culturali e artistici, fra i quali il responsabile del Gabinetto di Ricerche Scientifiche dei Musei Vaticani, Ulderico Santamaria, e Giuseppina Fazio dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro.
“La ricerca scientifica ha individuato nei microrganismi formidabili alleati per un nuovo strumento utilizzabile per la tutela e la conservazione del patrimonio artistico. L’idea dalla quale siamo partiti è stata di trasformare in risorsa un problema, ovvero sfruttare le capacità metaboliche dei microrganismi che vivono in aree degradate di interesse archeologico per intervenire sugli stessi manufatti artistici bisognosi di restauro”, spiega Anna Rosa Sprocati, coordinatrice del laboratorio ENEA di “Microbiologia Ambientale e Biotecnologie Microbiche”, presso il quale collaborano alle applicazioni del biorestauro le ricercatrici Chiara Alisi, Flavia Tasso, Paola Marconi, Giada Migliore, oltre a diversi dottorandi e tesisti che negli anni hanno contribuito a queste attività di ricerca.
Batteri e funghi vengono portati in laboratorio e isolati per poi essere utilizzati negli interventi di restauro: finora il laboratorio dell’ENEA ne ha selezionati ben 500 ceppi, un vero e proprio esercito di potenziali “micro-riparatori” con i quali è possibile realizzare interventi ‘su misura’, a seconda dei materiali sui quali si interviene (dipinti, affreschi, carta, pergamena, marmo o legno) e a seconda delle sostanze da rimuovere nella pulitura delle opere d’arte (colle animali e sintetiche, resine, idrocarburi, oli, gessi o carbonati).
I risultati, ad oggi, sono molto positivi anche perché gli addetti ai lavori vedono nel biorestauro un’alternativa promettente ai tradizionali metodi di intervento che richiedono l’uso di prodotti più aggressivi.
Qualche esempio? La ricerca ENEA ha fatto il suo ingresso nel Palazzo dei Papi di Avignone, individuando, in laboratorio, una procedura per rimuovere colle viniliche dagli affreschi. Nella rinascimentale Casina Farnese sul Palatino, i ricercatori ENEA hanno applicato la “biopulitura” di parte delle logge affrescate con la leggenda di Ercole e Caco, mettendo a punto una procedura di intervento che ha portato al deposito di un brevetto nazionale ed internazionale (Brevetto ENEA sul biorestauro nella banca dati European Patent Office).
Tante le collaborazioni, dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, ai Musei Vaticani, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna: in quest’ultima sono state esposte due sculture in marmo sulle quali i ricercatori ENEA hanno affiancato i restauratori utilizzando la biopulitura con microrganismi che hanno completamente rimosso i depositi di cera dalla “Testa di Donna” di Emilio Quadrelli e i residui di smog dalla “Lupa” di Giuseppe Graziosi, rimasta all’aperto per 40 anni.
Dal biorisanamento ambientale alle biotecnologie per il restauro e la conservazione dei beni artistici il passo è stato breve. Il mix di microrganismi utilizzato per la biopulitura della “Lupa” aveva già dimostrato tutta la sua efficacia nella bonifica di un terreno inquinato da idrocarburi. Una tecnologia, quella del biorisanamento, in grado di trasformare i contaminanti senza danneggiare le funzioni e la fertilità del suolo. Per il momento, forse, l’unica.