Superbonus 110%, quando le quote non fruite passano agli eredi?
L'Agenzia delle Entrate, ha spiegato su Fisco Oggi cosa accade alle quote del Superbonus 110% non fruite in caso di decesso del richiedente e avente diritto, e quando e quali condizioni bisogna seguire per passare tali quote agli eredi.
Cosi come accade per le altre detrazioni fiscali, riguardanti la riqualificazione edilizia e l'efficientamento energetico, è possibile trasferire il diritto di detrazione del Superbonus ad un erede in caso di decesso. Tuttavia per fare in modo che il beneficio si trasmetta per intero agli eredi, questi deve conservare la detenzione materiale e diretta del bene, così come è enunciato nell'articolo 9 del Decreto Requisiti Tecnici.
Se il bene dovesse essere affittato o concesso in comodato d'uso gli eredi perderebbero il diritto all'agevolazione fiscale.
Sempre nell'Articolo 9 del Decreto Requisiti Tecnici è specificato che se l'immobile, sul quale sono stati realizzati interventi agevolati, dovesse essere venduto o donato le restanti quote di detrazione non utilizzate passerebbero all'acquirente. Questo non avviene solo nel caso in cui le parti si accordino diversamente.
Per quanto concerne invece gli interventi eseguiti da inquilini o da comodatari, quindi non direttamente dal proprietario di un immobile, questi sono tutelati dalle norme che regolano le detrazioni. È stabilito infatti che questi continuino ad usufruire dall'agevolazione anche al termine del contratto di affitto o comodato.
A cura di Ing. Alessia Salomone - Edilsocialnetwork
Le regole tecniche verticali per le attività di intrattenimento e di spettacolo a carattere pubblico
Il 30 settembre 2020 è stata pubblicata la bozza della Regola Tecnica Verticale per le attività di intrattenimento e di spettacolo a carattere pubblico dal Comitato Centrale Tecnico Scientifico dei Vigili del Fuoco.
Tale regolamento reca disposizioni di prevenzione incendi riguardanti sia attività svolte al chiuso che all’aperto, anche a carattere temporaneo.
Sono esclusi:
- I luoghi all’aperto non delimitati;
- Gli esercizi pubblici dove sono impiegati strumenti musicali o apparecchi musicali, in assenza di attività danzanti;
- Le attrazioni di spettacoli viaggiante.
Le attività sono inoltre classificate in relazione al numero di occupanti, ovvero il numero di spettatori o avventori, escluso il personale addetto e in relazione alla quota dei piani. Dove l’attività presenti quote di piano variabili, si considerano le quote di piano più sfavorevoli d’accesso agli occupanti.
Per una adeguata strategia antincendio le vie d'esodo verticali e i passaggi di comunicazione di queste devono essere impiegati materiali appartenenti almeno al gruppo GM2 di reazione al fuoco, nelle sale delle aree accessibili al pubblico, con esclusione delle attività all’aperto, devono essere impiegati materiali appartenenti almeno al gruppo GM2 di reazione al fuoco e i materiali costituenti le pavimentazioni devono appartenere almeno al gruppo GM3 di reazione al fuoco. Per i materiali ed i prodotti installati nelle aree accessibili al pubblico delle attività all’aperto e nelle relative vie d’esodo, inclusi tensostrutture, tunnel mobili e strutture a tenda in generale devono essere impiegati materiali del gruppo GM3 di reazione al fuoco.
Inoltre, deve essere prevista una gestione della sicurezza antincendio in esercizio che deve comprendere un’attività di sorveglianza, che preveda attività di verifica prima di ogni apertura al pubblico. In particolare, devono essere previsti la sorveglianza dei locali e delle vie di esodo, la sorveglianza degli impianti e delle attrezzature di protezione antincendio e la sorveglianza degli impianti rilevanti ai fini della sicurezza antincendio.
Infine, la RTV definisce anche le direttive per il controllo dell’incendio, la rivelazione incendi e allarme, il controllo di fumi e calore e la sicurezza degli impianti tecnologici.
A cura di Ing. Alessia Salomone - Edilsocialnetwork
Antincendio, ulteriore proroga per l'adeguamento
A causa dell'emergenza sanitaria ancora in corso, l'adeguamento alla normativa antincendio per gli edifici abitativi ha subito numerosi rallentamenti. Nel disegno di legge per la conversione del Decreto “Agosto” (DL 104/2020), difatti si tiene conto dell'emergenza sanitaria anche per l'adeguamento antincendio e per le regola da seguire nelle strutture scolastiche.
In base a quanto definito dal DM 25 gennaio 2019, tutti gli edifici abitativi sarebbero dovuti essere adeguati alla normativa antincendio entro il 6 maggio 2020. Tuttavia, come già accennato, l'emergenza sanitaria dovuta al virus Covid19, non ha reso possibile effettuare gli adeguamenti nei tempi richiesti.
Con il Decreto Agosto si è dunque prevista una proroga e infatti, l'adeguamento alla normativa antincendio deve avvenire entro sei mesi dalla fine dello stato di emergenza, il quale sarebbe dovuto terminare il 15 ottobre 2020. Ad oggi tuttavia, essendo ancora in corso la crisi sanitaria, la fine dello stato di emergenza è stato prorogato al 31 gennaio 2021, con possibilità di ulteriori proroghe, sulla base dell'evoluzione della situazione sanitaria nazionale.
È rimasto invariato invece, il termine del 6 maggio 2021 per l'adeguamento all’obbligo di installazione degli impianti di segnalazione manuale di allarme incendio e dei sistemi di allarme vocale per scopi di emergenza.
La stessa proroga al 31 gennaio 2021 è valida per l'adeguamento alla normativa antincendio negli edifici scolastici. Tuttavia, per consentire il regolare svolgimento delle attività scolastiche in piena sicurezza, i Comuni e le Province potranno acquisire in locazione edifici o locali da fornire alle istituzioni scolastiche per lo svolgimento delle attività. Per facilitare ulteriormente lo svolgimento delle attività scolastiche, tali strutture potranno essere utilizzate anche senza le normali certificazioni previste dalla vigente normativa in materia di sicurezza. Dovranno però essere rispettate le norme previste per la sicurezza sul lavoro. Inoltre, dovrà essere effettuata una valutazione congiunta da parte degli uffici tecnici dell’Ente, dei Vigili del fuoco e della Asl.
A cura di Ing. Alessia Salomone - Edilsocialnetwork
Trattamento IVA, IRES e imposte di registro, ipotecaria e catastale per la cessione di un immobile non ultimato
L'Agenzia delle Entrate, nella Risposta 241/2020, fornisce dei chiarimenti all'impresa Alfa S.r.l. sul trattamento fiscale da adottare per la cessione di un fabbricato da ultimare.
Nel caso in oggetto, si parla di un contratto di compravendita di un complesso immobiliare sito nel comune di Gamma, ovvero di un albergo realizzato negli anni '90 e rimasto incompiuto. Su tale immobile sarà realizzato un intervento di ristrutturazione edilizia, il quale prevedere che un terzo sarà demolito e l'area rimarrà a verde; un terzo non sarà demolito, sarà recuperato e destinato alla realizzazione di una struttura di residenza per anziani (RSA) o di uno studentato; un terzo sarà destinato alla realizzazione di un complesso residenziale abitativo.
L'impresa specifica che la pratica edilizia per la costruzione del complesso immobiliare è scaduta per decorso dei termini. Di conseguenza l’edificio, pur essendo considerato negli strumenti urbanistici del Comune, dovrà avvalersi di una nuova pratica che ne legittimi la ristrutturazione urbanistica. Inoltre, nel gennaio 2020 l'immobile in questione è inserito nel catasto fabbricati come “immobile in corso di costruzione” senza attribuzione di rendita.
Per quanto riguarda l'IVA l'impresa ritiene che alla cessione dell'edificio questo sia esente da IVA, in quanto cessione di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici.
A sostegno della propria tesi, la Società evidenzia che:
• l'Edificio, per le condizioni in cui si trova, può essere assimilato ai fabbricati "collabenti" di cui alla categoria catastale F2;
• l'Immobile è iscritto in catasto dal gennaio 2020 nella categoria "immobili incorso di costruzione". Tuttavia, la costruzione non verrà mai completata né adibita allo scopo originario (albergo), anche per la modifica della destinazione urbanistica avvenuta a seguito dell'approvazione, nell'anno 2010, del nuovo PGT;
• il PGT non prevede ampliamenti volumetrici, bensì una riduzione della volumetria di circa un terzo che verrà destinata ad area verde.
L'Agenzia precisa che tale esenzione sulle cessioni di fabbricati non si applica a quelli non ultimati e che un fabbricato si intende ultimato “al momento in cui l'immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo”. Quindi si ritiene che sia imponibile a IVA la compravendita dell'immobile.
L'impresa mostra inoltre incertezza in merito al corretto trattamento tributario nella misura in cui il complesso immobiliare residenziale risultante dal piano attuativo sia considerato "nuova costruzione" ovvero "intervento di ristrutturazione edilizia su immobile esistente".
Dunque queste ritiene che al caso in questione debbano applicarsi le disposizioni riguardanti il c.d. "sismabonus", sempre che siano rilasciati i permessi per l'esecuzione di opere rientranti fra gli interventi di ristrutturazione edilizia/urbanistica, ritenendo quindi di poter usufruire del credito di imposta. L'agenzia afferma che questo non può configurarsi come un caso concreto e perciò è da ritenersi inammissibile.
Infine, l'impresa ritiene che la cessione dell'edificio debba scontare le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 200,00, secondo quanto previsto per legge. L'Agenzia delle Entrate ritiene che l'imposta di registro debba essere applicata nella misura fissa di euro 200,00. Nella stessa misura di euro 200,00 sono dovute l'imposta ipotecaria e l'imposta catastale.
A cura di Ing. Alessia Salomone - Edilsocialnetwork
Decreto Semplificazioni: modifiche al Testo Unico Edilizia
Con il Decreto Semplificazioni vengono apportate delle modifiche al Testo Unico Edilizia, al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie, riducendo anche gli oneri a carico di imprese e di cittadini, assicurando in questo modo il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e promuovendo lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana.
Nell'ambito delle demolizioni e ricostruzioni di edifici il nuovo articolo 2-bis, comma 1-ter afferma che:
"In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti."
Questo significa che mentre ad oggi in caso di ricostruzione post demolizione si può agire in due modi, rispettare le distanze preesistenti, tuttavia conservando l'aria di sedime, il volume e l'altezza della costruzione originaria, oppure “spostare” l'edificio, aumentare volume o altezza, rispettando le prescrizioni sulle distanze vigenti al momento della nuova costruzione; con il nuovo decreto si ottiene una maggiore libertà di modificare nella ricostruzione volumi e dimensioni della sagoma mantenendo le prescrizioni preesistenti.
Di conseguenza, sull'articolo 3, comma 1 lettera d, il DL modifica la definizione di interventi di ristrutturazione edilizia, includendovi “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.”
Un'altra modifica interessante è la possibilità di modificare i prospetti degli edifici in maniera più semplice e rapida, classificando tali interventi come opere di manutenzione straordinaria. Questo nel caso in cui tali modifiche risultino indispensabili a garantire l'agibilità o l'accessibilità delle unità immobiliari. Differentemente le modifiche in facciata non legate ad agibilità o accessibilità si qualificano come ristrutturazione edilizia.
Il DL Semplificazioni inoltre, prevede la possibilità di chiedere la proroga della validità dei titoli edilizi, prima che siano decorsi i termini per l’inizio (un anno dal rilascio del titolo) o per la fine dei lavori (tre anni dal rilascio del titolo). Questo significa che il privato può chiedere una proroga dei titoli edilizi attraverso una semplice comunicazione allo sportello unico comunale prima della scadenza dei termini.
Ad oggi tutte le modifiche apportate al Testo Unico Edilizia dal Decreto Semplificazioni sono in corso di revisione presso il Ministero delle Infrastrutture.
A cura di Ing. Alessia Salomone - Edilsocialnetwork
Demolizione e ricostruzione: la “modesta” modifica alla sagoma non pregiudica la sanatoria
Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla sanatoria per un intervento di demolizione e ricostruzione con una modesta modifica della sagoma e della volumetria inferiore al limite di tolleranza del 2%.
Nella fattispecie era stata presentata una SCIA per la ristrutturazione di due fabbricati rurali preesistenti. I lavori erano stati sospesi perché, a seguito di sopralluogo, risultava che erano stati effettuati lavori di demolizione e di successiva ricostruzione con un lieve incremento sia della volumetria che della sagoma. Il ricorrente presentava quindi un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001 che veniva rifiutata sulla base dell’accertamento di modifiche della volumetria e della sagoma.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza 26/03/2020, n. 2113, ha in primo luogo ricordato che ai sensi dell’art. 3, D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. d), nel testo modificato dall'art. 30 del D.L. 21/06/2013, n. 69, rientrano nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia (soggetti a SCIA) anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, senza che sia più necessario che rimanga immutata anche la sagoma (tranne che per gli edifici vincolati, per i quali resta il vincolo del rispetto della sagoma dell’edificio preesistente).
Con riferimento alla modifica della volumetria, il Consiglio di Stato ha richiamato l’art. 34, D.P.R. 380/2001, comma 2-ter, con il quale il legislatore ha introdotto una soglia di rilevanza minima delle variazioni rispetto al titolo edilizio. Tale soglia riguarda quegli scostamenti dai parametri autorizzati di misura talmente contenuta da non potere essere considerati un illecito edilizio, quali le violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure progettuali.
Sulla base di tali normative i giudici hanno ritenuto illegittimo il diniego della sanatoria in quanto dalla documentazione presentata dall’appellante risultava un modesto aumento della sagoma (quantificata nel 2,66%) e una modifica della volumetria inferiore al margine di tolleranza del 2% previsto dal citato comma 2-ter dell’art. 34, D.P.R. 380/2001.
Quanto in particolare alla modifica della sagoma, il Consiglio l’ha ritenuta “di misura non rilevante”, e quindi non tale da giustificare il diniego della sanatoria.
Fonte: Bollettino Online di Legislazione Tecnica
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La mancata esposizione del cartello di cantiere è punibile penalmente
La Corte di Cassazione riepiloga interessanti principi sull’obbligo di esposizione del cartello di cantiere, riaffermando che la violazione comporta la punibilità ai sensi dell’art. 44, D.P.R. 380/2001.
Nel caso di specie si trattava di lavori per i quali era stata rilasciata una SCIA alternativa al permesso di costruire di cui all’art. 23, comma 01, D.P.R. 380/2001. A seguito di accertamento emergeva che, nonostante che i lavori fossero in corso in quanto non ancora ultimati ed il titolo edilizio fosse ancora efficace, il cartello di cantiere non era stato esposto. Inoltre l'obbligo di apporre il cartello di cantiere era nella specie previsto nel regolamento edilizio comunale. I ricorrenti erano stati pertanto condannati in ordine al reato di cui all'art. 44, D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. a), per la mancata affissione del cartello.
Al riguardo la Corte di Cassazione, con la sentenza 28/10/2019, n. 43698, ha confermato la condanna sulla base dei seguenti principi:
- la violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, è punita dall'art. 44, D.P.R. n. 380/2001, lett. a), se commessa dal titolare del permesso a costruire, dal committente, dal costruttore o dal direttore dei lavori, essendo detti soggetti responsabili, stante il principio ricavabile dall'art. 29, comma 1, D.P.R. 380/2001, di conformarsi alle previsioni urbanistiche ed esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione e dal titolo edilizio;
- in costanza d'efficacia del titolo, l'obbligo di apposizione del cartello perdura sino all'ultimazione dei lavori, anche se gli stessi siano stati momentaneamente sospesi, ed infatti l’obbligo non viene meno nel caso di cantiere inoperante o sospeso, essendo invece necessaria la sua presenza dall'inizio dei lavori fino alla loro definitiva conclusione;
- la violazione penale sussiste ogni qual volta il regolamento edilizio preveda l'apposizione del cartello, anche se non si tratti di permesso di costruire. Ed infatti, soltanto le ipotesi di reato contenute nell'art. 44, D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. b) e c) (salva la diversa fattispecie di lottizzazione abusiva prevista da tale ultima disposizione) si riferiscono esclusivamente allo svolgimento di lavori in assenza o in totale difformità o variazione essenziale dal permesso di costruire e dalla SCIA sostitutiva ai sensi dell'art. 23, comma 01, D.P.R. 380/2001. La fattispecie penale residuale di cui alla lett. a) del predetto art. 44, D.P.R. 380/2001, si riferisce invece a qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione e regolamentari, indipendentemente dal fatto che si tratti d'intervento assoggettato a permesso di costruire (o a SCIA ad esso alternativa) piuttosto che a semplice SCIA. Se, dunque, il regolamento edilizio preveda l'apposizione del cartello anche per opere assoggettate alla semplice SCIA, l'inosservanza della disposizione integra gli estremi della contravvenzione in parola.
Fonte: Bollettino Online di Legislazione Tecnica
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Subappalto: secondo il TAR Lazio il limite del 40% è legittimo
Secondo il TAR Lazio, il limite del 40 per cento previsto per il subappalto dal D.L. Sblocca cantieri non è in contrasto con le norme europee e il suo superamento determina l’esclusione dalla gara.
FATTISPECIE
Un RTI era stato escluso da una gara bandita dalla Camera dei deputati per l'affidamento dei servizi di monitoraggio di contratti ICT (ovvero i contratti che riguardano servizi informatici, prodotti, soluzioni o servizi digitali). Dagli atti di gara emergeva che il raggruppamento avrebbe demandato una parte della prestazione a contenuto professionale (compresa la funzione di Direttore tecnico) ad altri soggetti tramite contratti di lavoro autonomo. La Stazione appaltante riteneva che il ricorso a lavoratori autonomi per lo svolgimento durante tutto il periodo di vigenza dell’appalto di una rilevante parte delle attività contrattuali fosse inquadrabile nell’istituto del subappalto e che, nel caso di specie, risultava superato il limite del 30 per cento previsto dall’art. 105, comma 2, D. Leg.vo 50/2016. Il RTI proponeva ricorso sostenendo tra l’altro l’inapplicabilità del limite percentuale al subappalto sulla base delle recenti sentenze della Corte di giustizia UE (C. Giustizia UE 26/09/2019, C-63/18 e C. Giustizia UE 27/11/2019, C-402/18) che ne hanno dichiarato l’incompatibilità con il diritto europeo (vedi Limiti quantitativi al subappalto: incompatibilità con il diritto europeo e Subappalto: incompatibile con diritto UE anche il limite del ribasso al subappaltatore).
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Ai sensi dell’art. 105, comma 2, D. Leg.vo 50/2016, il subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Tale limite è stato aumentato al 40 per cento fino al 31/12/2020 dall’art. 1, comma 18 del D.L. 18/04/2019, n. 32 - D.L. Sbocca cantieri (conv. dalla L. 14/06/2019, n. 55).
LEGITTIMITÀ DEL LIMITE DEL 40 PER CENTO
Il TAR Lazio-Roma 24/04/2020, n. 4183 ha confermato l’esclusione del RTI respingendo le argomentazioni addotte anche con riferimento alle sentenze europee da quest’ultimo richiamate.
Secondo i giudici infatti la Corte di giustizia, con tali pronunce, pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30 per cento dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori.
La Corte ha infatti riconosciuto che il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali dell’Unione europea che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Di conseguenza, nel considerare in contrasto con le Direttive comunitarie il limite fissato al 30 per cento, non ha escluso invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo.
Pertanto, ha proseguito il TAR, non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40 per cento delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, del D.L. 32/2019.
Nel caso di specie il raggruppamento ricorrente era stato quindi legittimamente escluso dalla procedura di gara in quanto aveva demandato a contratti di lavoro autonomo una quota delle attività contrattuali molto superiore non solo al limite del 30 per cento di cui al previgente testo dell’art. 105 del D. Leg.vo 50/2016, ma anche all’attuale soglia del 40 per cento previsto dal D.L. Sblocca cantieri.
LAVORO AUTONOMO E SUBAPPALTO
Infine va evidenziato che la sentenza in discorso assume particolare rilevanza anche in quanto riconosce che il ricorso al lavoro autonomo è configurabile come subappalto, chiarendone le condizioni di ammissibilità.
In proposito il TAR ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai sensi dell’art. 105, comma 2, D. Leg.vo 50/2016 deve essere qualificato come subappalto, ai fini delle norme sui contratti pubblici, qualunque tipo di contratto che intercorra tra l'appaltatore e un terzo in virtù del quale talune delle prestazioni appaltate non siano eseguite dall'appaltatore con la propria organizzazione, bensì mediante la manodopera prestata da soggetti giuridici distinti, in relazione ai quali si pone l'esigenza che siano qualificati e in regola con i requisiti di ordine generale. Non sussiste subappalto quindi soltanto laddove le prestazioni siano eseguite dall'appaltatore in proprio, tramite la propria organizzazione imprenditoriale. In tale contesto il ricorso al lavoro autonomo, pur se consentito, è subordinato dal Codice, al fine di evitare un uso elusivo delle norme poste in materia del subappalto, all’individuazione specifica del contenuto delle attività da svolgere; ciò in quanto l’affidamento di parte delle mansioni a lavoratore autonomo implica lo svolgimento delle stesse da parte di un soggetto esterno all’organizzazione dell’appaltatore e non nella stessa stabilmente incardinato, come un lavoratore dipendente.
Fonte: Bollettino Online di Legislazione Tecnica
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Il vuoto strutturale "tombato" non costituisce incremento di volumetria
I locali chiusi "tombati" non costituiscono superficie utile, non determinano un incremento volumetrico e rientrano nell’attività edilizia libera al pari dei volumi tecnici.
FATTISPECIE
Nel caso di specie si trattava dei lavori di demolizione e ricostruzione di un fabbricato già esistente, composto da un piano interrato e un piano terra. Il ricorrente impugnava l’ordine di demolizione impartito a seguito di sopralluoghi, effettuati mentre i lavori erano ancora in corso, che accertavano la realizzazione di un ampliamento di superficie rispetto a quella autorizzata. Il ricorrente sosteneva che le opere (seminterrato) erano state erroneamente ritenute in difformità rispetto al progetto assentito e che si trattasse solo di un “vuoto strutturale” privo di accesso (tombato), necessario per assicurare la conformità dell’edificio alla normativa antisismica.
Al riguardo il TAR Lazio Roma, con la sentenza 30/03/2020, n. 3722, ha accolto il ricorso e annullato l'ordine di demolizione sulla base delle seguenti motivazioni.
NOZIONE DI “TOMBATURA”
L’operazione di “tombatura” consiste nella chiusura totale con muratura dei locali che li rende inaccessibili e, di conseguenza, non idonei a determinare incremento di volumetria o superficie da computarsi ai fini urbanistici in quanto non utilizzabili. Pertanto tali locali non costituiscono superficie utile e non determinano un incremento volumetrico, rientrando nell’attività edilizia libera, disciplinata dall’art. 6, D.P.R. 380/2001, lett. c), al pari dei “volumi tecnici” (che sono utilizzabili esclusivamente per contenere impianti ed assicurare la funzionalità dell’edificio cui sono asserviti, per cui sono accessibili esclusivamente per l’utilizzato degli impianti in essi collocati), dai quali si distinguono per non essere neppure accessibili, come nel caso dei “sottotetti non accessibili asserviti alla costruzione quale spazio vuoto utile all’isolamento termico ecc.”.
Si tratta, pertanto, di locali che non devono essere computati nella volumetria o nella superficie utile dato che svolgono una loro funzione di carattere edilizio (quale potrebbe essere anche quella di rispondere ad una specifica esigenza di carattere strutturale) meramente strumentale, incompatibile con l’autonoma utilizzazione.
Tali condizioni risultavano soddisfatte dal progetto presentato dal ricorrente, dato che negli elaborati grafici allegati alla DIA il locale in contestazione veniva denominato e graficamente rappresentato come “vuoto strutturale tombato”.
VERIFICA DELLA CONFORMITÀ AL PROGETTO ASSENTITO - VARIAZIONI DOVUTE ALL’ADEGUAMENTO ANTISISMICO
Con particolare riferimento alla verifica se nel caso di specie si trattasse di variazione essenziale o totale difformità per stabilire l'applicabilità della misura ripristinatoria demolitoria, il TAR ha ritenuto non adeguatamente motivato il relativo provvedimento anche in ragione del fatto che non era stata valutata la “necessità” di tali modificazioni ai fini della sicurezza sismica, tra l’altro prevista dalla legge regionale applicabile.
In proposito i giudici hanno precisato che se l’intervento progettato fosse stato eseguito esattamente come previsto, avrebbe determinato uno stato di pericolo in caso di evento sismico e che pertanto l’interesse all’astratto rispetto del titolo abilitativo perseguito dal Comune veniva in conflitto con l’interesse alla sicurezza e stabilità delle costruzioni. In ogni caso, nella fattispecie, l’interesse pubblico al rispetto del titolo abilitativo era comunque assicurato mediante il completamento dell’intervento progettato con l’operazione di tombatura che, appunto, consentiva di assicurare la corrispondenza del costruito al progettato.
Fonte: Bollettino Online di Legislazione Tecnica
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Decadenza e proroga del permesso di costruire: chiarimenti del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato fornisce interessanti chiarimenti sulle conseguenze del superamento dei termini di efficacia del permesso di costruire nel caso in cui i fatti che hanno ritardato il completamento dei lavori siano conosciuti dall’Amministrazione.
FATTISPECIE
Nel caso di specie il ricorrente si opponeva al rigetto dell’istanza di sospensione del termine d’esecuzione e completamento dei lavori di costruzione di un fabbricato di edilizia residenziale pubblica.
Il rigetto era motivato dal fatto che il ricorrente non aveva provveduto ad informare tempestivamente il Comune dei fatti che avevano determinato la sospensione dei lavori, né aveva anteriormente alla scadenza del titolo presentato un’istanza di proroga. Veniva pertanto ritenuta necessaria la sanatoria delle opere realizzate successivamente alla scadenza, nonostante non fosse stato emanato un provvedimento formale di decadenza.
Il ricorrente sosteneva la piena conoscenza da parte del Comune dei motivi che avevano determinato il ritardo e che pertanto non era necessaria alcuna comunicazione al Comune.
TERMINI DI EFFICACIA DEL PERMESSO DI COSTRUIRE
Ai sensi dell’art. 15, D.P.R. 06/06/2001, n. 380 (Testo unico dell’edilizia), il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo e quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Il medesimo articolo dispone la decadenza del titolo edilizio per l’ipotesi di inosservanza dei suddetti termini, salva la richiesta di proroga il cui positivo riscontro, peraltro, è subordinato al ricorrere di specifici presupposti tra i quali rientra il sopraggiungere di fatti estranei alla volontà del titolare del permesso di costruire.
RILEVANZA DEI FATTI SOPRAVVENUTI
In proposito il Consiglio di Stato, con la sentenza 01/04/2020, n. 2206, ha richiamato l’orientamento secondo il quale i fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2 D.P.R. 380/2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio (cfr. C. Stato 10/08/2007, n. 4423).
Ciò posto, tuttavia, qualora per circostanze, oggettivamente riscontrate, l’Amministrazione abbia avuto piena cognizione dei fatti sopravvenuti che hanno differito il completamento dei lavori, la tardiva presentazione dell’istanza di proroga non comporta ex se la declaratoria di decadenza del titolo edilizio.
In tal caso quindi l’Amministrazione, “anziché trincerarsi dietro lo schermo formale dell’assenza di previa comunicazione”, ha l’onere di verificare l’effettiva incidenza dei fatti, di cui era già a conoscenza, sull’esecuzione delle opere oggetto di concessione edilizia.
CONSEGUENZE DELLA MANCATA ADOZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI DECADENZA
I giudici hanno inoltre ritenuto che l’omessa tempestiva adozione del provvedimento di decadenza, stante la sua natura dichiarativa, comporta sul piano tecnico giuridico che non si è prodotto l’effetto (performativo) ad esso riconnesso dall’ordinamento di settore, ossia:
- non è stata tempestivamente accertata e certificata l’inefficacia giuridica del titolo edilizio;
- non è stata riscontrata, con l’effetto di certezza pubblica richiesto dalla legge, la decadenza dello stesso.
Ne consegue il generarsi del legittimo affidamento sulla persistente efficacia del titolo che costituisce un’ulteriore ed autonoma posizione giuridica tutelata.
Fonte: Bollettino Online di Legislazione Tecnica
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