Il Consiglio di Stato specifica le condizioni per la deroga al principio di suddivisione in lotti dell’appalto pubblico e i limiti di legittimità della clausola di territorialità.
Nel caso esaminato dal Consiglio di Stato si trattava di una procedura per affidamento del servizio di smaltimento dei rifiuti sanitari mediante termodistruzione prodotti presso le sedi di un’Azienda sanitaria locale. Il ricorrente contestava:
- la scissione in due distinte procedure delle attività di raccolta e trasporto dei rifiuti da un lato, e di smaltimento degli stessi dall’altro;
- la clausola contenuta nel disciplinare di gara che imponeva il possesso di un impianto di smaltimento dei rifiuti in un determinato ambito territoriale.
DEROGABILITÀ DEL PRINCIPIO DI SUDDIVISIONE IN LOTTI
Con la sentenza 06/04/2020, n. 2293, il Consiglio di Stato ha ribadito che in materia di appalti pubblici è principio di carattere generale la preferenza per la suddivisione in lotti, in quanto diretta a favorire la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese.
Tale principio, come recepito all'art. 51, D. Leg.vo 50/2016, non costituisce una regola inderogabile e consente alla Stazione appaltante di derogarvi per giustificati motivi, che devono essere puntualmente espressi nel bando o nella lettera di invito, essendo il precetto della ripartizione in lotti funzionale alla tutela della concorrenza della quale vi è violazione in caso di previsione di lotti di importo spropositato e riferiti ad ambiti territoriali incongrui.
Il principio della suddivisione in lotti può dunque essere derogato attraverso una decisione che deve essere adeguatamente motivata ed è espressione di una scelta discrezionale della Stazione appaltante funzionalmente coerente con il complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal procedimento di appalto, da valutarsi nel quadro complessivo dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza.
Nel ribadire tali principi il Consiglio di Stato ha peraltro rilevato che nel caso di specie il frazionamento riguardava non già la suddivisione in distinti lotti della medesima attività, bensì la previsione di due diverse gare in relazione a differenti attività afferenti il ciclo dei rifiuti sanitari. Tale scelta è stata ritenuta insindacabile sotto il profilo della illogicità ed irragionevolezza, avendo la Stazione appaltante motivato congruamente le ragioni che, in concreto e con riferimento allo specifico contesto, avevano indotto a preferire la scelta della differenziazione nella gestione del servizio, e dunque a bandire due distinte gare.
LIMITI DI LEGITTIMITÀ DELLA CLAUSOLA DI TERRITORIALITÀ
Con riferimento alle c.d. clausole di territorialità, la sentenza in discorso ha indicato i limiti entro i quali simili clausole possono considerarsi legittime, legati non solo all’estensione territoriale, ma anche alla natura dell’adempimento richiesto (quale condizione per la partecipazione alla gara, e non per la stipula del contratto).
È stato infatti affermato che può ritenersi legittima la clausola territoriale che richieda al concorrente aggiudicatario definitivo il possesso di un locale in un determinato ambito territoriale come condizione per la stipulazione del contratto.
Viceversa la clausola in parola risulta illegittima nel caso in cui richieda a tutti i concorrenti di procurarsi anticipatamente e già al momento della domanda, la disponibilità di un locale localizzato nel ristretto ambito comunale, in quanto di fatto impone a carico dei medesimi un onere economico e organizzativo che potrebbe risultare ultroneo e sproporzionato, obbligandoli a sostenere i connessi investimenti per il reperimento degli immobili idonei in vista di una solo possibile ma non certa acquisizione della commessa.
Sulla base di tali principi è stata ritenuta legittima la clausola territoriale contenuta nel disciplinare di gara che prevedeva l'obbligo per l’aggiudicataria di possedere un impianto finale di smaltimento nell'ambito di tre Regioni.
Fonte: Bollettino Online di Legislazione Tecnica
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